di Fabio Franzin
NA VÌRGOEA, ‘NA SGRAFADHA
Granda e fissa, ‘dèss, se à cuzhà
l’onbra sui mé fòji.
‘A mé scritura
‘a incrosa crose e spini.
Un punto ‘l à stuà ‘a stéa
che ‘a bachéa
a est dea frase monca.
‘E me paròe, Pare
le ‘é romài ‘na nuda cerniera
che ‘a sèra su sol ‘l scuro.
Se mai ‘na vìrgoea, magari,
’na sgrafadha che ‘a sbuse,
che ‘a sbrèghe ‘a nùvoea, ‘l caìvo.
“Pare” (Padre), è un poema che prende l’avvio “fra i confini della vita” con l’immagine di un uomo con una mano tesa a cercare di trattenere – un padre che muore – e l’altra aperta e pronta ad accogliere, a cullare – un figlio che nasce -, di un uomo che si chiede con quale delle sue mani, in tal modo occupate, sia riuscito a scrivere le parole contenute in questo libro. Parole scritte in un dialetto veneto pastoso e terragno, che Franzin piega a farsi canto sul tema – classico, sempre – della paternità.
Il testo è diviso in due parti, in due momenti (come le sigarette fumate in due tempi dal padre, in uno dei testi), in cui Franzin si fa ora Enea, ora Anchise.
Nella prima parte “mé Pare” l’autore segue la malattia e poi la biografia di un padre che, appena scomparso, è già presenza che continua a risorgere entro ogni verso, e che entro ogni verso sembra, a sua volta, distaccarsi crudelmente da quel figlio che lo invoca, da un figlio cui restano ormai una mano monca e un vuoto da colmare. E nell’arduo percorso di un crinale così sottile, Franzin riesce nel miracolo di non cadere, di non cedere mai al facile sentimentalismo o al verso ad effetto.
Questa prima parte si chiude in preghiera, con delle “litanie” in cui Franzin chiede allo spirito del padre il segreto per riuscire nel compito, da Egli così mirabilmente vissuto, di essere a sua volta un buon padre.
Nella seconda parte “mì Pare”, Franzin dà corpo, e voce, ora, al suo ruolo di padre. Segue ogni gesta dei figli, del loro essere “carne che cresce”; li scruta, li spia; si fa sentinella alla soglia dei loro sogni, ne asseconda ogni scherzo, richiesta; lo troviamo alle prese con il cambio del pannolino, come in quelle di un detective che tenta di risolvere l’enigma di una parola, apparentemente, priva di senso. Vive i patemi di un padre alle prese con un figlio che si affaccia all’adolescenza, a quell’arena onirica che lo richiede, tutto, anche se quel figlio è già un figlio con-diviso.
Un poema che parlerà sia a chi ha subito la perdita di una persona cara, sia ad ogni padre, ad ogni figlio; figlio che – se vorrà, o se vorrà il destino al suo posto – sarà padre a sua volta.