PRIMA DI PARLAR, TASI

di Espedita Grandesso

 

Proverbi, parole e parolacce da non dimenticare

 

Un richiamo alla memoria del passato, una raccolta di modi di dire, e di parolacce, di oggetti e mestieri che si sono persi negli anfratti del tempo. Le espressioni che Espedita Grandesso ci riporta non appartengono a quel dialetto simil-popolare che Goldoni ci ha tramandato nelle sue commedie, ma alla voce della massa, fatta di uomini comuni, di situazioni e occasioni radicate nel quotidiano.

 

Troviamo frasi imparentate strettamente con i fatti storici più importanti del momento, come la ribellione di Cuba del 1885 (Zo’ le man da Cuba!); espressioni legate alla religione e a quel miscuglio di paura, devozione e ironia che era l’approccio alla fede di ogni buon cristiano (Esser quelo che gà fato el mango ale sarese; Che ciavada che ciapa i frati, se non ghe xe el paradiso!); proverbi nati dalla filosofia popolare (Se no ti pol bater el cavalo, bati la sela); parolacce e offese (magnamorti, despossente, futon e bampaciara, casso mato); oggetti scomparsi o sostituiti da copie asettiche e automatizzate (bataor, ligambo, moscheto, rasador); definizioni di vecchi mestieri (colarina, gua o moleta, pontapiati, strassarol); nomi di animali (luserta, selega, bisato, finco subioto, marsion); cibi della cucina “povera” (formenton, lucamara, spolentaure, stracaganasse, baracocoli).

MAGNA E BEVI, CHE LA VITA XE UN LAMPO!

di Espedita Grandesso

 

La cucina nel Veneto dall’età romana alla caduta della Serenissima

 

“I Veneziani non amavano Donna Teodora, troppo diversa dalle altre dame, anche d’alto lignaggio, che risiedevano in città. Abituata a una vita regale, la dogaressa Selvo si lavava il viso con la rugiada, che i suoi schiavi raccoglievano all’alba ogni mattina. Non basta: spesso faceva addirittura il bagno e si profumava, ma ciò che non le fu mai perdonato, né dal popolo né da san Pier Damiani, fu l’uso del piron d’oro per portare alle labbra i pezzetti di carne tagliati dai suoi eunuchi.”

 

Quanto è rimasto ai giorni nostri della lunga tradizione culinaria veneta e veneziana che indicava portate particolari per ogni grande festività e per i banchetti della Serenissima? Quante delle strane ricette di Apicio sarebbero ancora appetibili ai nostri palati?

 

Espedita Grandesso, con la sua garbata ironia, traccia un percorso nel tempo, che va dall’età romana alla caduta della Repubblica Veneta, nel quale mette in luce come l’arte del mangiare si sia via via andando raffinando, anche grazie all’arrivo di aromi e di spezie dal lontano Oriente e all’apporto delle colonie levantine al mercato di Venezia, ricordando come la cucina più povera si industriasse a dare sapore al cibo quotidiano anche con l’uso di piante selvatiche. Potrìda de fenichi, sfogi in saòr, sguasseto a la bechera, figà col radeselo, sono solo alcune delle molte ricette riportate che fanno parte della nostra tradizione e che andrebbero riassaporate.

 

“Magna e bevi, che la vita xe un lampo!” non è solo un insolito ricettario, ma anche una raccolta di piccoli aneddoti, racconti brevi, documenti d’epoca, che si può leggere come un ipertesto, secondo la propria discrezione ed il proprio divertimento.